E così accade che mi chiami un amico, che lavora in una banca di prossimità,…
Di cosa è segno una scrivania vuota?
Già, se una scrivania disordinata è segno di una mente disordinata, c’è da chiedersi di cosa sia segno una scrivania vuota. La battuta è fin troppo facile, verso colleghi che ti accusano di troppa confusione sulla tua quando la loro è liscia, no, è vuota, come un tavolo da biliardo vuoto.
Due settimane fa ci eravamo lasciati con la promessa di parlare di posti di lavoro che spariscono; e non è un argomento che entusiasma nessuno, sarebbe più facile fare ironie su altro. Qualche giorno fa un amico mi ha confidato di essere in cassa integrazione, a 67 anni: aveva chiuso l’azienda qualche anno fa e, per terminare di pagare i contributi, aveva avuto la fortuna (letteralmente) di trovare lavoro in un’impresa che era piena di commesse e che aveva bisogno della sua professionalità.
Poi, la svolta: il principale committente, o forse l’unico (eh, le regola aurea della subfornitura), ha chiamato per comunicare che non aveva più bisogno di loro. Che avrebbe pagato il materiale e le materie prime acquistate per far fronte alle commesse, ma non il lavoro; e per certi versi è andata anche bene.
Questo accade: il lavoro evapora per la digitalizzazione, per la delocalizzazione, per la competizione. Perché nella gigantesca giostra della rivoluzione digitale non tutti riescono a stare attaccati ai seggiolini, e si fanno male, perché cadono, escono. Fermiamo la giostra, direbbe il geniale ministro dei trasporti, pensando che sia colpa della globalizzazione; o, come molti opinionisti da bar hanno affermato, degli stranieri nel calcio, vista la figuraccia rimediata agli Europei.
La giostra non si ferma ma, soprattutto, è vietata ai maggiori: ai maggiori di 50 anni, ai boomer, a quelli per cui preparo scivoli, che non voglio più tra i piedi, che costano troppo e non hanno le competenze giuste. È un po’ crudele, ma credo che il realismo, l’unico metodo con cui la ragione può guardare alla realtà oggettiva, ci imponga di dirlo. Tutto ciò che ha funzionato fino a ieri non è detto che continui a farlo, e forse funzionerà altro, non necessariamente noto adesso.
Ai boomer posso solo dire che ci siamo divertiti: a tutti gli altri, a quelli che si affacciano ora sul mercato del lavoro, devo dire di non avere paura. Di non avere paura di studiare, di più; di non avere paura del nuovo; di non avere paura di andare davvero all’estero o anche soltanto in un’altra città. Perché se si stanno accorciando anche le settimane di lavoro (ma solo in aziende che funzionano, e funzionano bene), può essere che si accorci il lavoro stesso e che un diverso modo di vivere sia alle porte.
Ma non prende forma in tre giorni, non è indolore e può essere che qualcuno si faccia male: a tacer del fatto che non è detto che le banche lo capiscano.
La realtà è un uccello che non ha memoria, deve immaginare da che parte va.