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Emozioni.

Oggi mi sono emozionato davvero, perché senza motivo alcuno, almeno dal mio punto di vista, una recentissima laureata mi ha voluto portare la tesi dove la dedica era solo per me: non ai genitori, non al fidanzato, ai nonni, al cane, al gatto, al canarino. No, a me; ed è la seconda volta che mi capita in tutta la vita, mi dico che forse qualcosa di buono ho fatto. Perdonate la digressione.

Quello che non ho fatto di buono è stato parlare (troppo) bene della più grande banca italiana, che resta tale sotto molti profili, ma che a Bitonto (e perché non a Torino o a Ragusa o a Pizzighettone? Chiediamocelo.) si è fatta sfilare informazioni sui conti correnti di molte migliaia di persone senza che i controlli interni non facessero nulla.

Per chi non conosce fino in fondo il funzionamento delle banche in Italia, perlomeno dal 1988 è andato consolidandosi un quadro regolamentare improntato ai controlli interni divenuto per certi versi asfissiante, burocratico e pervasivo.

Ma comunque presente, al punto tale che spesso, parlando con amministratori di istituti di credito locali mi è capitato di dire che oggi, fare parte del CdA di una banca è un po’ come guidare una Volvo XC90 e non poter andare a più dei 50 anche in autostrada, scendendo spesso a controllare e provare che le luci di posizione, le frecce, le luci dei freni e quanto altro funzionino (che funzionino gli airbag ci pensa la Banca d’Italia o la BCE a verificarlo).

Il malfunzionamento è grave, tanto più grave perché reiterato a dimostrazione dell’inefficacia dei controlli nel tempo, se non peggio (complici? disegni criminali? varie ed eventuali?); leggendo la cronaca pare che i controlli funzionino veramente bene solo in caso di riciclaggio e questo è bene. Ma il resto?

Non molto tempo fa mi capitava di dover spiegare il funzionamento della raccolta di informazioni da parte delle banche e della loro conservazione, soprattutto nel caso di informazioni pregiudizievoli; il termine legale è 36 mesi ma a modesto parere del sottoscritto, non c’è nulla che sia davvero cancellato a tale data e, a costo di mettere il tutto in un server in una grossa nave nel mar Glaciale Artico (acque internazionali!), tutti sapranno “sempre e per sempre” che Tizio o Caio non sono buoni pagatori.

Che fare?

La cronaca ci consegna storie talmente brutte (sotto il profilo della caccia alle informazioni) da provocare lo sconforto in chi legge oltre ad un’altra elementare constatazione: pensare che la società che le rivendeva abbia ottenuto un utile di (soli) 3 milioni di euro è offensivo per il buonsenso di chiunque. Le informazioni carpite valgono molto di più e i guadagni dei simpaticoni pizzicati dalla DIA di Milano sono certamente più elevati.

La domanda di leniniana memoria rimane: che fare? Ricercare la trasparenza.

Ricercare la trasparenza è sempre meno un lusso per pochi idealisti ma una necessità che rende la cooperazione urgente: cooperazione di chi fa, di chi compra e di chi vende, di chi presta e di chi riceve, di chi offre servizi e di chi li deve valutare.

Per lavorare meglio, per vivere meglio, per accettare le correzioni e fare meglio impresa: non si impone, ma ci si può educare a viverla.

Proviamoci.

 

P.S.: la newsletter era cominciata con una notazione personale e finisce, allo stesso modo, con una canzone che per una volta non c’azzecca col titolo. Pardonnez-moi.