E così accade che mi chiami un amico, che lavora in una banca di prossimità,…
ACE
(Nella foto: John Isner, il primo tennista ad avere infranto la barriera di 14.000 ace, con la ragguardevole cifra di 14.470).
ACE, oltre ad essere una “candeggina che smacchia senza danno” e un modo per fare punti a tennis sul proprio servizio, sarebbe l’Aiuto alla Crescita Economica che questo governo si appresta a cancellare con la Legge Finanziaria.
L’Aiuto alla crescita economica, normalmente definito tramite l’acronimo ACE, è un’agevolazione fiscale prevista in favore delle imprese ed è stata introdotta dal DL 201/2011 (convertito poi dalla Legge 214/2011). L’agevolazione è stata soppressa con la legge di bilancio 2019 e reintrodotta con la legge di bilancio 2020 (articolo 1, comma 287, legge 160/2019) con decorrenza 2019 e potenziata per il 2021. Tecnicamente si tratta di una deduzione dal reddito d’impresa del rendimento figurativo del capitale proprio che, nell’intento del legislatore, dovrebbe portare ad un fisiologico maggiore equilibrio tra capitale proprio e capitale di debito nella struttura finanziaria delle imprese. Perché abolirla, se incoraggia le imprese stesse a re-investire gli utili, a ricapitalizzare, ad essere meno dipendenti dal debito?
Perché toccato il fondo si può sempre scavare e qua è finito pure quello del barile, risponderebbe con cinico realismo il presidente iper-liberista dell’Argentina Javier Milei, che fronteggia qualcosa che assomiglia a un disastro economico di proporzioni gigantesche.
Pretendere che il nostro legislatore (Borghi? Bagnai? Qualcun altro dal prato di Pontida?) avesse letto gli Orientamenti EBA, che pongono il debt/equity ratio tra le metriche obbligatorie da considerare per affidare o no un’impresa, sarebbe pretendere troppo; però forse qualcuno potrebbe aver letto, magari il buon Giorgetti, che durante la crisi pandemica le imprese europee più capitalizzate, specie se PMI, hanno resistito meglio delle nostre alle difficoltà economiche, proprio perché più capitalizzate.
Difficile spiegarlo agli imprenditori, sono banco-dipendenti e lo diventeranno sempre di più, soprattutto quelli marginali, stringendo da sé progressivamente il cappio della garrota intorno al collo; altrettanto difficile immaginare provvedimenti che strutturalmente rafforzino il capitale delle imprese, rendendo i dividendi deducibili, alla stregua di interessi passivi qualunque; hai visto mai che qualche banca abbia pensato alla disintermediazione (non parliamo poi di informazione sugli Orientamenti EBA)? Mentre si raschia il fondo del fondo del barile, le imprese più dinamiche e quelle che hanno voglia di raccogliere capitali fanno il crowdfunding, il debito privato, si aggregano, fanno acquisizioni, investono.
Noi pensiamo alla flat tax per i forfettari.
Buona settimana, buon populismo a tutti.