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Di calcio, di conti, di altre sconcezze…

Occorrerebbe anche aggiungere nel titolo la ragioneria, ma per l’assonanza con un ben noto album musicale va bene così. Marco Bellinazzo, cuius potestate et auctoritate confidimus (?) in materia di sport e di conti delle squadre di calcio, sul Sole 24Ore del 9 aprile, deprecando il fenomeno delle plusvalenze nel calcio, parla di “doping finanziario” che “ha generato in 10 anni 5,3 miliardi di ricavi e 6,2 miliardi di ammortamenti”.

In poche parole, più costi che ricavi: ma è ovvio, gli ammortamenti li calcolo sul prezzo di acquisto, la plusvalenza sulla differenza tra prezzo di vendita e valore contabile netto.

Bellinazzo omette, probabilmente perché lo dà per scontato, che così come per fare un fosso ci vogliono due rive, per fare una plusvalenza ci vuole qualcuno che venda e qualcuno che compri.

In un calcio squattrinato come quello italiano spesso ciò avviene incrociando operazioni che sostanzialmente si pareggiano, perché la pecunia difetta e tuttavia, almeno contabilmente, le operazioni vanno chiuse. Così come poi i diritti acquisiti sulle prestazioni di un giocatore vanno ammortizzati, rispetto al costo, con tutte le conseguenze del caso.

Le plusvalenze, nel frattempo, sapientemente collocate nel bilancio con equilibrismi da circo, tengono in piedi (sic) i bilanci delle Società, provocando, tra le altre cose, conseguenze ulteriori sotto il profilo finanziario.

Bilanci con risultati economici falsati, infatti, consentono di fare ulteriori debiti e ulteriori spese, quotarsi in Borsa (cfr. i bilanci della Lazio ai tempi della quotazione), costruire a debito stadi, compravendere società riciclando denaro a suo tempo portato all’estero, depositare il bilancio in procura anziché alla CCIAA etc etc…

Il problema delle plusvalenze, baciate o no che siano -ovvero bilanciate da altre operazioni di analogo ammontare, tanto i soldi sono quelli- è il problema delle purtroppo assai numerose imprese non calcistiche che sostengono i loro bilanci con ricavi fasulli, facendosi finanziare come morti viventi (le imprese zombie, così definite dal Group of Thirty) e danneggiando il mercato, la concorrenza, le imprese sane.

Se qualcuno ha dato i soldi al Frosinone Calcio o ha comprato le obbligazioni e le azioni della Juventus f.c., qualcun altro li ha dati alla Pinco Pallo snc o srl che sono clienti storici, ottimi nominativi, favorevolmente conosciuti e via con lo stupidario: il problema è culturale, di visione, non solo nel calcio, di cui si parla di più perché ne parliamo sempre e perché, da tifosi, saremmo disposti alla qualunque pur di vincere. O di continuare a dare soldi: per informazioni chiedere della ex più grande impresa di Rimini, Valentini Spa, in amministrazione straordinaria dal 2020, dopo 12 (dodici) anni di bilanci in perdita.

Fare impresa in modo sano si può fare (Barilla, Ferrero), così come fare una squadra di calcio vincente (Bayern Monaco) e con i bilanci a posto, ma l’equilibrio economico e quello finanziario, non si inventano.

Forse, mentre discutiamo, sarebbe il caso di spazzare via lo sporco davanti al proprio uscio, mostrando la situazione per come è, non per come la raccontiamo al bar e la facciamo credere a qualche funzionario di banca.

Ma per i cambiamenti epocali, non siamo, democristianamente, ancora pronti.

 

P.S.: quell’uomo lì, quello della foto, comunque è arrivato a parametro zero, niente plusvalenze.