E così accade che mi chiami un amico, che lavora in una banca di prossimità,…
Fintech, banche e Covid: una congiunzione astrale o una questione di cultura d’impresa?
A cura del Dott. Alessandro Berti.
Secondo un articolo di Pierangelo Soldavini, comparso sul Sole 24Ore del primo settembre scorso, il Covid “smonta l’industria bancaria globale” con investimenti complessivamente pari a 100 miliardi.
Il titolo è indubbiamente suggestivo e, per una volta, corrisponde effettivamente ai contenuti, anche se la disintermediazione bancaria è un tema del quale si parla in Italia dai primi anni ’90 del secolo scorso, con l’affermarsi di segmenti di mercato borsistici destinati alle Pmi. Detto che forse, perlomeno all’epoca, si parlava del tema più per esorcizzarlo e anticiparlo accademicamente che non per affrontarlo nei fatti (che non c’erano: non c’è mai stata una vera e propria disintermediazione bancaria in Italia, non fino ad ora), la “congiunzione astrale” dell’evento pandemico e dello sviluppo del Fintech, già in atto precedentemente al 2020, ha fatto deflagrare la questione, che appare probabilmente più come una esplosione sotterranea che non qualcosa di visibile in superficie. Ma c’è.
Il digital lending era una realtà già prima del 2020, le piattaforme sulle quali si scambiavano e compravendevano fatture erano già attive (StarInvoice, Credimi etc…) e alcune banche totalmente digitalizzate e dematerializzate esistevano già: nel corso di un Convegno a Londra sul finire del 2019 chi scrive ebbe modo di conoscere la realtà di una banca georgiana completamente digitalizzata e, ancora prima, di learning machines si parlava relativamente alla valutazione del merito di credito.
Non è un articolo o una newsletter che possono occuparsi di un tema più complesso di quanto richiederebbe un esame attento dei fenomeni che abbiamo descritto, ma alcune considerazioni possono essere fatte, a partire proprio dalle conseguenze per l’operatività bancaria e l’attività di lending, quella più cruciale e decisiva per il conto economico e per la profittabilità delle banche commerciali. Non stupisce, d’altra parte, che gran parte dell’attenzione sulla questione fintech si sia concentrata sugli strumenti di pagamento, sia grazie all’entrata in vigore della direttiva UE riguardante i pagamenti (c.d. Direttiva PSD2), sia per il traino, anche mediatico, operato dall’operatività sui bitcoin e dalla sempre più frequente applicazione della blockchain.
Ritengo che l’attenzione alla questione Fintech si sposterà ben presto dagli strumenti di pagamento al digital lending, inevitabilmente andando a confluire nel tema organizzativo più grande posto dall’applicazione degli Orientamenti EBA: è proprio su questo tema che si innestano alcune domande che reputo cruciali per l’evolversi del sistema bancario italiano.
Quest’ultimo, come è noto, è soggetto a un processo di concentrazione non ancora terminato e che se da un lato è frutto della necessità di sopportare costi di compliance sempre più elevati, ripartendoli su un risultato operativo ancora penalizzato dal livello dei tassi di interesse, dall’altro è determinato dalla necessità di ridurre i costi operativi (i.e. il costo del lavoro) proprio sfruttando le nuove tecnologie digitali.
Premesso che il documento degli Orientamenti EBA tiene in debito conto l’uso della tecnologia nell’ambito del lavoro bancario, richiamando sia la necessità di una maggiore e approfondita conoscenza da parte degli organi deliberanti, sia l’importanza di saper gestire e “sorvegliare” il c.d. rischio di modello, l’applicazione delle Guidelines da un lato, l’introduzione delle nuove tecnologie digitali, dall’altro, impongono un salto di qualità nel lavoro bancario che non può che significare, anzitutto, una maggiore professionalizzazione del personale. Personale bancario chiamato a sempre maggiori responsabilità, evitando rischi di frode interni ed esterni, ma anche soggiacendo a una tracciabilità del processo decisionale che richiede la giusta collocazione e una corretta visione circa l’uso della tecnologia nell’attività di lending: la tecnologia digitale può aiutare a formalizzare, uniformare e standardizzare le pratiche di fido, ma il giudizio finale resta demandato all’operatore bancario. E, d’altra parte, sarà la stessa banca a doversi fare carico -il che finora non pare essere avvenuto- a dover informare quei clienti, Pmi in particolare, che al momento paiono del tutto ignari di quanto stia avvenendo, di un “prima” che non c’è più, come ricordavo nell’ultima newsletter e di un “dopo” che si materializzerà con la prima richiesta di nuovo credito.
Non è certamente questa la sede per porre la questione del relationship banking vs transaction banking, anche se a parere di chi scrive il business model bancario prefigurato dagli Orientamenti EBA vira quasi di necessità verso logiche che sono proprie della banca di relazione; e, d’altra parte, è ben possibile che le banche maggiori, più orientate al transaction banking, decidano di conformarsi alle Guidelines facendo proprio un modello di business meno rischioso e quindi meno costoso, basato su un uso massiccio della tecnologia digitale e una riduzione progressiva del costo del lavoro.
Resta il grande interrogativo, anche ora che l’economia italiana si sta riprendendo, circa il comportamento delle imprese, alle quali peraltro, come si è già ricordato, la tecnologia digitale offre una grande occasione, quella di ricapitalizzarsi e di crescere attraverso il crowdfunding e la altre tecnologie. Questione non tecnica, tantomeno astrale (!), quanto piuttosto culturale quella che propone un’occasione per non sprecare, usando le parole di papa Francesco, l’avvenimento della pandemia.