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Chi ha dato, ha dato, ha dato, chi ha avuto, ha avuto, ha avuto…

A cura del Prof Dott. Alessandro Berti.

Mentre cominciano a precisarsi i contorni più pratici (le metriche, i limiti, i test negativi) e le conseguenze più concrete (i dinieghi, la non-bancabilità di certe pratiche, l’eccesso di indebitamento già in essere etc…) dell’avvento degli Orientamenti EBA, entrati in vigore al 30 giugno, alcune considerazioni sul prima e sul dopo, su dentro o fuori si impongono all’attenzione di chiunque non sia lettore superficiale e distratto della realtà.

Una prima considerazione riguarda lo status quo, ovvero la situazione di accordato/utilizzato, forma tecnica del prestito, tempi di rientro etc…di chi ha già ricevuto un prestito bancario e, in qualche modo, o perché cliente “storico” o perché nuovo, alla data del 30 giugno poteva già vantare un certo numero di rapporti bancari, un certo ammontare di affidamenti e via discorrendo. Di tutti costoro, salvo situazioni patologiche, le banche dovranno occuparsi secondo i criteri fissati nelle Guidelines dal 30 giugno, sì, ma del 2022. Al netto, appunto, di situazioni patologiche, già degenerate in precedenza e il cui degrado le moratorie hanno solo rallentato, ove il fabbisogno finanziario si mantenesse invariato e/o queste imprese non fossero interessate dal processo di ripresa che è in atto, è ragionevole presumere che molte imprese non si accorgeranno, nei fatti, dell’entrata in vigore degli Orientamenti EBA se non tra un anno.

Altro è il ragionamento che deve essere fatto per tutti coloro (e sarebbe auspicabile che siano molti, perché ciò significherebbe, ad evidenza, che la ripresa sta dando i suoi frutti) che chiederanno nuovo credito per fare nuovi investimenti, per crescere, per svilupparsi, magari secondo logiche che hanno funzionato fino a qualche tempo fa ma che ora non funzionano più: sono tutti coloro, e sono tanti, per i quali gli “adeguati assetti, organizzativi, amministrativi e contabili” sono sconosciuti, tutti coloro che non hanno mai fatto un piano economico-finanziario degno di questo nome -e che non lo sanno fare tuttora, né loro, né il loro commercialista-, quelli che non hanno ancora portato in banca il bilancio 2020 o che pensano che tanto le garanzie ci sono.

Il “dopo” 30 giugno, per tutti costoro, non sarà una passeggiata di salute, ove si trovino nella necessità di richiedere nuovo fido: nella misura in cui tale richiesta sarà di ammontare significativo (rivolgersi alla propria banca per informazioni), non solo la mole di documenti da presentare sarà certamente più ricca e densa di informazioni ma, soprattutto, i criteri utilizzati per verificare il merito di credito risulteranno più stringenti. Se non si vuole porre un vincolo finanziario allo sviluppo nelle mani improvvide di molti imprenditori, soprattutto tra le Pmi, arruffoni e grossolani nell’affrontare i temi della gestione aziendale, la questione della comunicazione finanziaria va presa in mano subito, sia dalle associazioni di categoria, sia dai professionisti che assistono le imprese. Altrimenti essere già “dentro” non servirà a molto più che ad ottenere un rinvio lungo un anno prima che l’attività di monitoraggio si estenda anche ai rapporti già in essere.

Il “prima” 30 giugno 2021 cede il passo al “poi” e tutto questo fa emergere alcune evidenze, che si erano già imposte all’attenzione degli operatori più attenti, ovvero:

  • che molte operazioni siano state fatte finora a leva, ovvero solo ricorrendo al debito bancario, non può essere dato per scontato per le nuove, laddove, in particolare, alcuni coefficienti di sostenibilità siano ai limiti (PFN/Ebitda o DSCR);
  • che il credito finora ottenuto possa essere considerato alla stregua di un diritto acquisito, pur in presenza di situazioni che richiederebbero comunque aggiustamenti e sistemazioni del business model, rappresenta un errore da matita blu, foriero di conseguenze ben peggiori a partire dal prossimo anno;
  • che il codice delle crisi di impresa sia stato rinviato per l’ennesima volta nei suoi automatismi ma in realtà, a piccole rate, stia entrando in vigore e stia modificando la situazione delle imprese in difficoltà è un dato di fatto che dovrebbe far riflettere allo stesso modo di quando si dice che non è rompendo il termometro che si abbassa la febbre dell’ammalato;
  • che vi siano meno fallimenti di quelli preventivati dalla stessa Banca d’Italia, se da un lato è merito della legislazione emergenziale e dei comportamenti certamente virtuosi messi in atto da molte banche, dall’altro potrebbe indurre una certa fetta del sistema bancario italiano ad anticipare alcune inevitabili “prese d’atto” (leggasi UTP);
  • che la questione “capitale di rischio” vada riconsiderata e non appena perché non deve essere negativo, ma perché serve a sostenere stabilmente la gestione operativa e a rendere più accettabili certi coefficienti e, di conseguenza, più sostenibile il debito (c’è da riflettere circa tutte quelle situazioni nelle quali l’aumento di capitale servirebbe anzitutto a ridurre il debito bancario e solo per un ammontare residuale -o ulteriore- a finanziare lo sviluppo).

Se dunque le “nuove leve” del credito avranno il loro bel daffare nel dimostrare di essere degne di partecipare alla festa del PNRR e di tutto quello che ne seguirà, saranno, paradossalmente, proprio coloro che già lavorano stabilmente con il sistema bancario a dover dimostrare che la solidità delle relazioni di clientela non dipende solo da una questione temporale ma anche e soprattutto dai contenuti di una seria attività di comunicazione finanziaria.

 

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