E così accade che mi chiami un amico, che lavora in una banca di prossimità,…
Ossimori (la stabile instabilità)
Mi ritrovo qualche giorno fa a spiegare il trade off tra efficienza e stabilità, quello scambio necessario, anzi, obbligato tra un obiettivo e l’altro: tra la concorrenza che aiuta i consumatori e abbassa i prezzi ma favorisce le crisi bancarie, e la stabilità, che, come in Italia dal 1936 fino al 1994, addormenta il mercato, mette in ghiaccio la bagarre competitiva e impedisce che le crisi bancarie si manifestino o si manifestino in maniera troppo virulenta.
Nonostante la stabilità sia un obiettivo che in un mercato libero dovrebbe per sua natura essere talvolta assente o difettosa (ovvero instabile=ossimoro), dopo la Grande Crisi 2008-2018 essa è tornata di gran moda, una volta sistemata la montagna di crediti deteriorati che si erano accumulati raggiungendo nel 2015 il loro picco. Di efficienza ha parlato timidamente Banca d’Italia rivolgendosi al sistema bancario qualche tempo fa, ma è parso poco più che un amichevole buffetto, non un vero e proprio rimprovero: dell’efficienza, ovvero di un servizio bancario prestato a condizioni concorrenziali e convenienti a clienti che possono con facilità passare da una banca all’altra, qualora non siano soddisfatti, non interessa quasi a nessuno, forse alle associazioni dei consumatori, de-potenziate da 20 anni di “tassi Conad” (bassi e fissi). Tu puoi parlare o videochiamare 24 ore filate con l’Australia via whatsapp e non paghi un euro, ma se fai un bonifico on line paghi; ed evitiamo di dire quanto paghi se per caso hai la sventurata idea di andare allo sportello. Alle autorità monetarie sta bene tutto questo? Evidentemente sì o, perlomeno, non dispiace, perché si accompagna al raggiungimento di due obiettivi. Il primo è il consolidamento del mercato del credito, agevolato da fusioni e acquisizioni, con il solo MontePaschi a non riuscire a maritarsi; e il secondo è la crescita dei profitti bancari, mai così forte come negli ultimi anni, 2020 compreso. Consolidare il mercato del credito significa agevolare i processi di fusione e concentrazione, come piace al vigilatore; e pazienza se qualcuno diventerà too big to fail, in fin dei conti c’è il bail-in (ma ricordiamoci che in Italia non l’abbiamo mai sperimentato con banche davvero grandi). In sintesi: meno banche, quelle che rimangono più grandi di prima, più facili da controllare, tendenzialmente con meno rischi di contagio sistemico. In fin dei conti è la cara vecchia stabilità, come negli anni ’60, quell’hic manebimus optime come diceva Giulio Cesare ponendo l’accampamento, sussurrato a Francoforte o a Via Nazionale.
Sembrerebbe un magic moment per chi rimane, che guadagna di più grazie a licenziamenti, pre-pensionamenti e, soprattutto, rialzo dei tassi attivi (quelli passivi partono sempre a handicap), oltre che per ricavi da servizi assai corposi. Mentre anche le ex-piccole banche si stanno fondendo, generando entità che a livello interregionale non hanno nulla da invidiare a competitor più agées, le Pmi sembrano ferme al palo, riuscendo a farsi condannare (Tribunale di Cagliari) non in sede fallimentare ma civile, per mancato rispetto della previsione di cui al 2086 c.c. circa gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, sui quali vi abbiamo fin troppo (?) annoiato. Sono quelle stesse imprese che, con un Ebit traballante, subiranno l’aumento dei tassi senza poter fare molto di più di quello che le disposizioni del nuovo CCII propongono loro, ovvero andare in tribunale o alla Camera di Commercio; o, pervicacemente, secondo il costume italico, persevereranno perinde ac cadaver perché tirare a campare è meglio che tirare le cuoia. Staremo a vedere; nel frattempo la prossima volta, proseguendo nel tema (Ossimori 2: la vendetta) parliamo di lotta all’inflazione e di realizzazione del PNRR.
Buon lavoro.