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Perché vale la pena educare (insegnare non è addestrare).

Mi ponevo la questione pensando a due cose geniali che ho visto questa settimana: una è la foto che vedete qua sopra, uno è il gol di Federico Di Marco “da casa sua”, domenica sera a San Siro. Una foto come quella che vedete in apertura e quel gol nascono rispettivamente da una mano e da un piede educati; certo, l’esito artistico è molto diverso, anche se il risultato è emozionante in entrambi i casi. Ma in entrambi i casi c’entra l’educazione, non l’addestramento. Si addestrano i cani, forse i gatti, i poliziotti, i soldati, i pompieri: ma senza empatia non si va da nessuna parte, senza uno scopo quello che fai diventa vuoto, una ripetizione di gesti che prima o poi farà l’AI. Mentre le foto di Cartier-Bresson le ha fatte solo lui, sono irripetibili, come quel gol che ha subito suscitato molti ricordi, ma tutti di campioni, anch’essi bene “educati”.

Nello stesso giorno di settimana scorsa ricevo il messaggio da una studentessa laureata qualche anno fa, che ora fa la bancaria e che si è emozionata riascoltando –in formazione “interna”– le stesse cose ascoltate da me in aula qualche anno fa. Un messaggio commovente, che conservo con affetto, perché mi raccontava della diversità di percezione dei concetti ma, soprattutto, mi raccontava di un’umanità diversa, di un implicarsi, di un’empatia, non di un semplice addestramento a fare qualcosa, ma educare a riflettere, a pensare, a paragonare, a giudicare. Quello che la formazione fatta “internamente” da colleghi difficilmente riesce a trasmettere, perché è succube della prassi e delle regole, non offre criteri e metodi, ma indica solo una sequenza di atti da compiere. Mi ha commosso quello che mi ha detto, e mi ha fatto pensare.

Certo la formazione interna fa risparmiare (!), non si devono chiamare docenti, pagare trasferte, sguarnire le filiali o la sede: ma ti mancherà sempre uno sguardo un po’ più grande, che ti faccia capire che il mondo non finisce lì, che c’è un metodo, uno scopo, un modo vero e giusto di fare le cose che ti fa essere leale con la tua opera concreta, come abbiamo già ricordato altre volte. E, soprattutto, il semplice addestramento ti fa perdere di umanità: quella che dai per scontata nel rapporto con un collega, magari più vecchio ma “esperto” che, alla fine, ti insegna quello che sempre fatto lui, i trucchi del mestiere. E non cambi, non succede nulla.

Non decidi di saltare la pozzanghera (e lui pronto a fotografarti, tu che salti e i due innamorati, non la Tour Eiffel), non decidi di tirare, dopo aver guardato Dumfries. Perché nessuno ti ha educato, perché nessuno ti ha insegnato: ti hanno solo addestrato.

Ecco, non fatevi addestrare.

Ph: Henry Cartier Bresson ©